GRUPPO 1 "PORTLAND" [Ben]

Era una notte senza luna, quando il canto dei grilli lo risvegliò. Presto filtrarono le prime luci dell'alba e Ben cominciò a studiare in che luogo fosse finito. Era un casolare in pietra, che non riceveva visite da molti anni, a giudicare dallo stato di abbandono nel quale erano ridotte le rifiniture più deperibili, come gli infissi. Il portone era chiuso a chiave dall’esterno e non riuscì ad aprirlo. Passò quindi, goffamente, dalla finestra. Tutto intorno, un fitto bosco di conifere portò Ben ad escludere con certezza che si trattasse ancora dell'Isola. Il morale era a pezzi, dopo il lutto recente, ma l'istinto di sopravvivenza prevalse e si incamminò a est, cercando di mantenere una direzione fissa. Ben presto si ritrovò su una strada carrabile e per convenienza decise di seguirla in discesa. Dopo circa un'ora di cammino, non si era ancora vista un'anima. Era molto presto, ed evidentemente non era stagione di caccia. Poi, sul bordo della strada, notò una piccola lapide. Non c’erano fiori, solo una foto ingiallita dal tempo e un'iscrizione. Si avvicinò per guardare.

Destiny is a fickle bitch. Poteva dirlo forte. In un pianeta con oltre 500 milioni di chilometri quadrati, proprio lì doveva essere trasportato, proprio dove sua madre aveva perso la vita, per far nascere lui. Gli occhi lucidi, la gola stretta in una morsa, continuava a fissare la foto di Emily, provando a immaginare la scena di quel parto maledetto. Si chiese se in quei pochi attimi in cui sua madre lo aveva potuto stringere a sé, in cui aveva scelto che si sarebbe chiamato Benjamin, fosse prevalsa in lei la paura della morte imminente o la gioia della nuova vita, scoccata nel mondo come una freccia, senza ritorno.

Poi, tutti i suoi dubbi svanirono. Lo sentì. Presente, forte, incondizionato. L'amore che solo una madre può concepire. Ne fu pervaso. Più di una volta sull'Isola l'aveva vista apparire. Ma ora era diverso. Ne avvertiva l'avvolgente presenza senza bisogno di una manifestazione corporea. E, in questo caldo abbraccio, sembrava che la madre volesse dirgli: "Figlio mio, non è mai troppo tardi per ricominciare. Qui sei nato, e qui ritorni a vivere".

Improvvisamente fu tutto più chiaro. L'Isola, il potere, gli intrighi, le sue ossessioni. Era il momento di lasciarsi ogni cosa alle spalle e passare oltre. Aveva smarrito la via, ma a 40 anni era ancora nel mezzo del cammino, e davanti a sé la selva non appariva poi così oscura. Lo attendeva una vita normale? Si sarebbe mai potuto adattare? Perché no! E poi cosa significa "normale"? Ogni esistenza è una storia a sé, per la quale varrebbe la pena di scrivere un romanzo. Stava pensando che gli sarebbe piaciuto insegnare storia moderna alle superiori, quando una cabriolet accostò. Un uomo, capelli lunghi, castani, e la sua bionda compagna gli fecero cenno che c'era posto anche per lui. Così saltò su, senza più voltarsi.
"Piacere, mi chiamo Benjamin Linus. Vengo dal Minnesota."